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Lady Monica


di TommyStar
25.05.2022    |    5.400    |    3 9.1
"E’ un suo messaggio indirizzato a me, non al team come di solito..."
Ogni mattina, dal Lunedì al Venerdì, alle 7:45, percorro lo stesso corridoio, con lo stesso passo spedito, con la testa inarcata in avanti, gli occhi che fissano la punta dei piedi, con in mano la solita valigetta, con lo stesso pensiero "fa che non sia già arrivata".

Quando passo davanti al suo ufficio con l'occhio cerco di vedere se è già arrivata, senza mai voltarmi.

Il più delle volte l'ufficio è silenzioso e buio. Questo significa che Lei non è ancora arrivata.
Quando invece, quelle poche volte, è arrivata prima di me, si fa sentire. Si sente la Sua voce che rieccheggia nel corridoio. Si sente il rumore dei Suoi tacchi. Se è seduta il rumore è provocato dal Suo costante movimento di gamba con fare nervoso. Seduta sulla scrivania, con la punta del piede poggiata a terra, muove incessantemente il tallone del piede provocando un continuo tic tac sul pavimento. Di norma è un rumore fastidioso. Non il Suo però. Il Suo incute solo timore. Se lo senti, provi una sensazione strana, di timore, di sottomissione, di timidezza.

Oppure senti il rumore dei tacchi, perchè cammina avanti e indietro nel Suo ufficio. Incessantemente. Avanti e indietro. Avanti e indietro.
tic tac, tic tac.

Ma anche in questo caso è una sorta di tensione timorosa che si perpetra per i corridoi dei nostri uffici. Anzi, dei SUOI uffici, perchè è Lei la persona di riferimento in assoluto qui, il vertice della gerarchia. In altre parole La Padrona.

La Padrona ha un nome e io, nei mei pensieri, nei miei viaggi erotici onirici con lei protagonista la chiamo Lady Monica.

Lady Monica non ti chiede mai come stai.

Lady Monica non ti chiede favori, ti impartisce degli ordini.

Sul lavoro ovviamente. E quando lo fa c’è una energia erotica che accompagna l’ordine.
Inviare una email ad un cliente, fare il report annuale di vendite … a prescindere dal lavoro che ti chiede di fare, lo percepisco come un ordine che sa di erotismo.

Lavoro costantemente con uno stato di eccitazione.
Non parlo di vera e propria erezione, parlo proprio di sudore alle mani, una sensazione di caldo costante, dei brividi lungo le braccia e poi lungo la schiena,
Moltissime volte ritorno a casa la sera e sento la forte esigenza di toccarmi, masturbarmi fino alla erezione fino all’orgasmo per scaricare la costante tensione erotica quotidiana.

Tutto questo, fino ad oggi.

Oggi è il suo ultimo giorno di lavoro. Lady Monica è stata trasferita ad un altra compagnia dello stesso gruppo. Una compagnia più grande ,con molti più schiavi da sodomizzare… ehm scusate con molti più colleghi.

Lady Monica mi mancherà.

Mi mancherà quella tensione erotica di sottomissione che solo Lei era in grado di emanare.
Mi arriva una nuova email. E’ un suo messaggio indirizzato a me, non al team come di solito. A me. Appuntamento nel suo ufficio alle 15.30. Trasalisco. Deglutisco, ho la bocca secca. Il respiro si fa affannoso.

Che cosa vorrà da me.
Il mio pensiero parte.

Mi siedo. Fisso il muro. E un vortice di pensieri diventa tornado. Busso, “Avanti”, entro nel suo ufficio chiedendo permesso. Ho la testa china , le mani sudate. Cerco di avanzare verso la Sua scrivania. “So che mi chiami Lady Monica”.

Io mi fermo. di colpo. Mi blocco. Alzo gli occhi la guardo. Incrocio il suo sguardo. Ha occhi stupendi. Il suo sguardo è magnetico. Ho un erezione. Completa. Improvvisa. Per fortuna porto mutande molto coprenti.

Lei mi dice “So che mi chiami Lady Monica. Lo so, lo sento. So di essere la tua padrona. So che mi hai sempre ubbidito. So che ti masturbi pensando a me, a quanto sono in grado di incuterti timore. So che nessuna donna ti ha donato un piacere così intenso anche se loro hanno avuto il vantaggio di essere dal vivo.”

Io sono sempre più confuso. Sono sempre più eccitato. Sento il mio pene arrivare ad una erezione mai raggiunta prima. Lo sento gonfio. Caldo. Intrappolato ancora nelle mutande ma pronto ad uscire.
E poi, nuovamente, sento la sua voce. “Voglio per un attimo ringraziarti del tuo servizio, sempre fedele, di tutti questi anni. Voglio che mi scopi , ora, in questo ufficio. tieni conto che non ho mai portato le mutandine e non le ho nemmeno ora.”

Da seduta divarica le gambe. Ha la gonna. LA gonna corta. Io riesco a vedere la sua intimità. E’ depilata. Sono ancora un po’ lontano ma mi sembra di vedere un piercing. Oppure è la mia immaginazione. Non lo so. E’ tutto strano. E’ bello. E ho un desiderio enorme di possederla, sulla sua scrivania.

Lei si alza dalla sedia, si porta davanti alla scrivania, appoggia le mani alla scrivania, si alza ancora un poco la gonna fino a mostrare i suoi stupendi glutei, sodi, pelle liscia. Mi ordina: “scopami, da dietro. Fammi sentire la tua rabbia. La rabbia di non potermi più servire”.
“Ma Padrona”, le rispondo io, “non posso, non mi posso permettere di abusare della sua intimità. Da dietro per di più”.

Lei, girando leggermente il volto ma inarcando la schiena concedendomi ancora di più il suo lato posteriore mi dice “Testa di cazzo, ora prendi il tuo uccello e sbattimelo nel culo. E’ un ordine”.

Non so, i suoi ordini mi hanno sempre dato una energia brutale. Mi avvicino, sfodero il mio uccello. Lo appoggio tra le sue natiche. Scivola che è un piacere. La puttana … ehm scusate, la mia Padrona si è cosparsa il culetto di lubrificante… era tutto programmato. Scivolo dentro. Che sensazione bellissima.

Sento i suo muscoli interni avvolgere il mio pene. Mentre io delicatamente vado avanti e indietro. Entro ed esco. Dall’ano. E avanti ancora, rispingo dentro il mio sesso.

Sento il suo respiro farsi più intenso.
“Bravo, testa di cazzo, sai come accendere il fuoco ad una puttana”.

Dopo qualche colpo delicato mi fermo. Esco. Con le mani divarico le sue natiche. Ha un buco del culo perfetto. Sicuramente fatto da Giotto. E’ ampio. E’ così divaricato, è così accogliente.

Infilo nuovamente il mio pene. Dentro. Tutto. Fino in fondo. Di più di cosi non entra. Lei lo sa, lei lo sente.

Il suo respiro affannoso si trasforma in rantoli di piacere.
“Spingi forte, testa di cazzo, non fermarti, fammi sentire la tua energia”.
Inizio a spingere forte, avanti e indietro, le schiaffeggio la natica destra con il palmo della mano ben aperta.

Che bel rumore. Il rumore dello schiaffo viene accompagnato da un suo urletto di dolore.

Sento che i ruoli si stanno invertendo. Sono io ora a condurre le danze. Sono io ora a dare il ritmo. Sono io ora a farla implorare di essere scopata.

E’ lei ora a desiderare me.

Faccio scivolare davanti la mia mano, sulla sua pancia. Che pelle liscia. Salgo sul seno. Lo stringo. Sodo. Che bel capezzolo turgido. Duro. Scendo fino alla sua intimità. E’ bagnatissima. Le faccio scivolare dentro un dito, poi due.

Sono un bastardo, per farla tremare di piacere le sfioro il clitoride e lo accarezzo più volte, mentre il mio cazzo che ora è gonfio, duro e caldissimo le sta scopando il culo. Sta urlando. Siamo in ufficio, ma chi se ne fotte, è l’ultima volta che la potrei vedere, ed ho passato una vita a farmi le seghette pensando a lei. Siamo sudatissimi.

Urla “ vienimi dentro”, questo è stato uno dei suoi ultimi ordini, a cui io ovviamente non ho saputo sottrarmi. Un’ esplosione, un inondazione, una sensazione di svuotamento per me e di riempimento per lei. Esplosione accompagnata dall’ennesimo urlo. Gira leggermente la testa verso di me. Vedo l’ennesima goccia di sudore scendere sulla sua fronte.

L’ho fatta impazzire.

“Che testa di cazzo che sei. Nessuno ha saputo scoparmi così bene come te. Mi hai scopato il culo e il cervello. Mi hai fatto venire con il corpo e con la mente. Ho il corpo che trema. E ora che ti ho mostrato questa mia debolezza, un ultimo ordine. Senza pulirti rialza le mutande e i pantaloni e senza dire una parola esci e non farti più rivedere.”

Come un automa così ho fatto. Sono uscito dalla porta. Ho chiuso la porta. Mi sono fermato. Ho fatto un grande respiro. Ho sentito il profumo della sua intimità, ancora una volta. Mi sono allontanato, sapendo che ubbidirò anche questa volta. Non mi faro’ rivedere, ma non la dimenticherò, mai.




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